lunedì 24 dicembre 2018

Maura, l'indovina di Orotelli

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Maura, l'indovina di Orotelli
21 dicembre 2018, presentazione del libro a cura dell'autrice Alessandra Derriu
Organizzata dall'Associazione Tholos

mercoledì 10 ottobre 2018

La pittura rupestre preistorica in Sardegna

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Liliana Spanedda, archeologa algherese che vive ed opera in Spagna, ha mostrato i risultati dei suoi studi sulle pitture trovate in alcuni siti del prenuragico sardo.

Le immagini che scorrono durante la presentazione mostrano numerosi siti nei quali i Sardi hanno usato colori sulla roccia di domus de janas o sulle pareti di grotte e ripari sotto roccia. Dopo millenni il colore è quasi del tutto scomparso ed è stato necessario utilizzare innovative tecnologie di indagine per individuarlo. 
La colorazione si è evidenziata maggiormente nella Sardegna nord-occidentale, mentre pare assente in Gallura.
I siti presentati sono  i seguenti.
Perdonigheddu a Sorgono
Luzzanas a Ozieri nei pressi di Sant'Antioco di Bisarcio
Branca a Cheremule
Sas Concas a Oniferi con i "capovolti", forse simboleggianti i defunti
La Grotta del Bue Marino
I menhir di Laconi ove è riprodotto in bassorilievo il "capovolto"
Su Crabiosu ad Ardauli dove si trova il dipinto riprodotto nella locandina che raffigura un gruppo di uomini e pare che sia raffigurato il sole, caso raro in Sardegna
Mandras, riparo sotto roccia sempre ad Ardauli, dove in collaborazione con la rivista Archeologia Viva si svolgeranno delle attività
Orri a Tortolì
Grotta del Papa a Tavolara

La studiosa ha anche mostrato figure disegnate su piatti del periodo della cultura di Ozieri.

Non vi è stato uno studio sui pigmenti utilizzati che sono in maggioranza ocra rossa e carboni. Tale studio potrebbe precisare la datazione dei disegni.

Viene spontaneo pensare che l'utilizzo del colore in relazione alla morte abbia un profondo significato per l'uomo che rifiuta l'evento come ineluttabile e lo accetta soltanto se immagina una continuazione o addirittura un ritorno, come accade in alcune culture. 
L'uso del rosso è un forte richiamo alla vita, e usandolo forse l'uomo intende anche stabilire un contatto con un mondo che non ha mai visto, ma che sente concreto e reale. 
Le suggestioni suscitate dalla scoperta dei segni lasciati tanti millenni fa sono molto forti, perché sentiamo che ci comunicano messaggi che noi cerchiamo in ogni modo di cogliere anche se capiamo che è estremamente arduo riuscire a penetrare nei pensieri di coloro che ci hanno preceduto nei nostri stessi territori ma in tempi tanto lontani. 
Eppure sentiamo la loro voce, e riusciamo a percepire la loro presenza attraverso i segni tangibili del loro passaggio terreno. 
Ci piacerebbe saperne di più e confidiamo nell'impegno dei tanti studiosi che indagano il passato perché le domande trovino risposte.










giovedì 20 settembre 2018

Perfugas

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20 ottobre 2018

Perfugas


Visita al pozzo sacro nuragico di Predio Canopoli

Visita al retablo di San Giorgio nella chiesa di S. Maria degli Angeli




Campanile di S. Maria degli Angeli


Visita al Museo 




Gli utensili di selce trovati presso il Rio Altana sono stati assegnati all'industria europea del Clactoniano che copre il periodo tra 450.000 e 100.00 anni fa, prodotta dall'homo erectus. 
Tali utensili sono costituiti da schegge ottenute con la percussione dei nuclei di selce per renderne il bordo adatto all'uso che se ne intendeva fare: tagliare, raschiare, grattare, ecc.. Il clactoniano si distingue per l'assenza di strumenti lavorati sulle due facce, i bifacciali che caratterizzano l'acheuleano che, al momento, non è stato trovato in Sardegna.



Pomeriggio - Bulzi

San Pietro delle Immagini










Questa è la relazione di una visita effettuata nel 1999. 
Perfugas 
Chiesa di Santa Maria degli Angeli - Retablo di San Giorgio - Pozzo sacro Predio Canopoli - Museo Archeologico - Necropoli Murrone.
( Domenica 23 / 05 / 1999 h 8,45 - 9.00).

Retablo -
Si è visitato il Retablo della chiesa di S.Giorgio, sistemato ora nella cattedrale che si trova nella piazza adiacente al pozzo sacro. Si nota il curioso campanile edificato con tufo trachitico di vari colori. Caratteristica è anche la cupola.

Pozzo Sacro -
E’ stato possibile accedere all’interno dell’area del pozzo sacro che è recintata ed è oggetto di contenzioso.
Il sito, dopo il Medio Evo, è stato totalmente ricoperto ed occupato da abitazioni e da un cortile. Solo uno scavo casuale lo ha rimesso parzialmente in luce nel 1923. Negli ultimi anni sono state abbattute le abitazioni e l’area adiacente al pozzo è stata liberata. Anticamente la zona si presentava come il versante di una collina, sulla cui cima sorgeva un nuraghe con il villaggio attorno (nello spazio anteriore alla chiesa, alle spalle dell’ingresso del pozzo). Il centro nuragico era sicuramente importante e si ha testimonianza di un’intensa attività commerciale nei secoli VIII e VII a.C. Sono stati ritrovati materiali etruschi, greci e fenici. Il pozzo è antecedente al 1000 a.C. e il suo utilizzo è durato fino al Medio Evo.In epoca romana la zona attorno è stata edificata e rimangono infatti alcune murature.




 Pozzo sacro (20 ottobre 2018 - h 10,48)

Vi si vede anche una struttura subrettangolare. E’ un tempio a megaron che racchiude un’area sacra.
Gli scavi hanno messo completamente in luce tutta l’area del pozzo. I lati più lunghi della muratura mostrano delle bugne esterne variamente interpretate. La marna calcarea, perfettamente lavorata, è una pietra che viene da altre località distanti 5-10 Km. I conci del pozzo aggettano l’uno sull’altro di un centimetro ed il primo è perfettamente perpendicolare con l’ultimo. Si sono trovati un toro ed una vacca di bronzo.
Davanti alla stretta scalinata, nell’area dove si trovano due sedili laterali, si può osservare un grande concio rettangolare con un foro circolare che pare incorniciato.

Museo Archeologico -

Alla periferia del paese sorge il museo. Contiene una sezione paleobotanica dedicata ai reperti della foresta fossile. Non è facile individuarvi le piante, ma si sono potute riconoscere conifere (cipressi), olmi, palmizi. Di grande interesse è il calco del suolo dove sono stati trovati i reperti del paleolitico inferiore. La tecnica usata è la scheggiatura della selce che si trova in grande quantità nel territorio.
Il periodo di tali manufatti è il clactoniano, risalente a 500.000 anni fa.

Alla visita si può abbinare il Museo Archeologico di Viddalba.

Necropoli “Murrone” -

Per raggiungerla occorre percorrere stradine in parte sterrate ed in parte asfaltate ma sconnesse. Non esiste segnaletica. Le domus sono scavate su un banco di trachite, hanno un soffitto basso, e sulla superficie sono delimitate da canalette che probabilmente servivano anche per lo scolo dell’acqua piovana.. Conservano uno strato di ocra rossa sia esternamente sia internamente. Hanno i portelli molto ben lavorati e contornati da belle cornici. Recano la decorazione di protomi bovine; un ipogeo ha sul soffitto le scanalature ad imitazione dei tetti delle capanne.


mercoledì 15 agosto 2018

Nuragici in mostra ad Alghero

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Una mostra per tutti.
Per i sardi che vogliono saperne di più.
Per i turisti che vogliono conoscere meglio il territorio che visitano.
Per i bambini che vogliono capire che cosa c'è stato molto prima di loro.

Dal 4 agosto 2018 al 28 aprile 2019 al Qualtè (Quarter) di Alghero ci sarà l'occasione di scoprire quanto sappiamo veramente della civiltà nuragica.
Potremo anche mettere a confronto le nostre convinzioni con i risultati degli scavi archeologici che ci raccontano come l'antico popolo dei Sardi ha risolto i bisogni fondamentali dell'esistenza in modo originale e creativo.
I nuraghi, le tombe di giganti, i templi a pozzo, le fonti sacre, le statue di Monte Prama, i bronzetti, le ceramiche, hanno tutti un marchio inconfondibile e unico.

Attraversando le sale della mostra ci sembra di sentir parlare gli antichi pastori dal volto ieratico e solenne, come lo vediamo raffigurato nei bronzetti.
Percepiamo la presenza di un popolo forte, padrone del territorio, aperto ai commerci e agli scambi culturali che si svolgevano attraverso le rotte del Mediterraneo, quel mare che anche i Sardi Nuragici sfidavano più spesso di quanto non si creda.

Forse, dopo aver visto questa mostra, i siti che andremo a visitare saranno meno misteriosi e più ricchi di luce e di vita.



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giovedì 7 giugno 2018

Su Romanzesu - Nuraghe Loelle

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Lunedì 18 giugno 2018 un gruppo di soci Tholos si è recato a visitare Su Romanzesu presso Bitti. 

Nell'area si trovano 17 strutture tra le quali sono stati individuati cinque templi. Un sesto tempio a megaron  è ancora da scavare.

Su Romanzesu si può collocare tra le aree cultuali più importanti della Sardegna che comprendono Santa Vittoria di Serri, S'Arcu is Forros, Gremanu e Monte S. Antonio. I luoghi destinati al culto delle acque sono circa cinquanta.



Francesco (la guida) parla del sito e i soci ascoltano seduti sui gradoni che anticamente ospitavano i fedeli accorsi al tempio a pozzo


La tholos del tempio a pozzo è stata distrutta durante lavori effettuati nel 1970


Gradinata per arrivare all'acqua. L'originaria scala di pietra di forma trapezoidale è stata distrutta durante lavori eseguiti per deviare l'acqua sorgiva. Il culto che si svolgeva nel tempio a pozzo era riservato a poche persone poiché lo spazio è ristretto.


Betili collocati ai lati dello spazio gradonato nei pressi della fonte. Un terzo betilo più piccolo è posizionato più avanti.


Gradoni con betili ai lati. 

In primavera, a causa del disgelo e delle abbondanti piogge, l'acqua del pozzo usciva fuori dalla sua sede e si spargeva nello spiazzo antistante vi si potevano celebrare riti collettivi. I fedeli si immergevano nelle acque e potevano così purificarsi. Si parla anche dell'ordalia, ma non vi sono testimonianze dirette di tale pratica in Sardegna. 

Nel raggio di tre chilometri da Romanzesu si contano sette villaggi nuragici.



Ricostruzione di capanna


La struttura ripropone il tipico  modulo planimetrico della capanna circolare nuragica. L'area interna ha un piano pavimentale lastricato e un grande focolare ubicato in posizione appena decentrata; la presenza del sedile perimetrale alla base del muro rende plausibile la destinazione d'uso del vano a “capanna delle riunioni”. La presenza del focolare esclude l'utilizzo di un palo di sostegno centrale per il tetto conico del vano, impostato alla sommità del perimetro murario e realizzato in materiale deperibile. 
Le varie proposte di ricostruzione ideale delle coperture circolari di età nuragica, prevedono sostanzialmente la realizzazione di un'armatura di pali lignei disposti a raggiera e convergenti al centro, raccordati da una trama di travicelli orizzontali posizionati a diverse altezze che, con funzione di tiranti, contribuivano a distribuire uniformemente il peso della copertura; i carichi tutt'altro che trascurabili del tetto andavano a gravare integralmente sul muro perimetrale. Il rivestimento esterno della copertura di frasche, stramineo e incannucciato, infine, veniva verosimilmente amalgamato ed impermeabilizzato con un impasto di argilla. I materiali ceramici recuperati nell'interno di scavo permettono di attribuire al XV sec. a.C. (media età del bronzo) la fase d'impianto della grande capanna circolare.
A S'Urbale è stata trovata una capanna integra che utilizzava il sughero posizionato sotto alcuni centimetri di piano di calpestio fatto di terra battuta. Le pareti venivano intonacate e rifinite con argilla.


Capanna delle riunioni con focolare al centro e pavimento con lastroni di pietra

A Romanzesu si trovano quattro grandi capanne con sedili lungo la circonferenza e focolare centrale. Questo dato suggerisce che il luogo, oltre ad essere destinato al culto, era anche un centro direttivo e amministrativo del territorio circostante. Molte persone si riunivano nella capanna e discutevano, dialogavano, forse risolvevano controversie e conflitti sorti tra i pastori.


Costruzione rettangolare con mura molto spesse che racchiudono un ristretto spazio interno. L'ingresso è collocato sul lato lungo, a differenza di quanto succede nei templi a megaron. La copertura era stata realizzata con lastroni. All'esterno è posizionato un doppio bancone. Si fa l'ipotesi che sia un mausoleo per il culto di un eroe. 
Sono stati ritrovati lame e puntali di bronzo, bottoni votivi, pendagli e fibule di matrice etrusca, un morso equino,vaghi di pasta vitrea e tre vaghi di ambra.
All'esterno si sono trovati 133 vaghi di ambra per bracciali e collane. Pare che alcuni vaghi siano stati lavorati proprio a Romanzesu.


Ingresso collocato sul lato lungo del mausoleo.



Spazio antistante il mausoleo delimitato da una triade betilica e da lastroni. Forse era la zona destinata al culto.



Terzo Tempio a Megaron



Ingresso del terzo tempio a Megaron

Spazio antistante l'ingresso realizzato in un secondo tempo. Ai lati dell'ingresso alcune lastre delimitano lo spazio dove, secondo alcune ipotesi, venivano alloggiati i pitoi contenenti l'acqua lustrale.


Recinto cultuale
 Il monumento è stato riportato alla luce nel corso di due campagne di scavo effettuate negli anni '90. L'indagine archeologica ha permesso di evidenziare le parti residue del monumento documentando un complesso edificio cultuale dalla planimetria inedita, privo cioè di possibili riscontri nell'ambito dell'intero panorama dell'architettura nuragica nota. Il tempio presenta una pianta sub-ellittica con unico ingresso rivolto ad Est aperto nel muro perimetrale. Questo conduce ad una struttura di  muri concentrici, con andamento labirintico in un ambiente circolare interno. Tale vano conserva una porzione residua dell'originaria pavimentazione lastricata su cui poggiava un basamento circolare, formato da blocchi di pietra a forma di cuneo, destinato a sostenere un elemento architettonico funzionale. Il piccolo vano centrale, in origine coperto, costituiva una sorta di sancta sanctorum raggiungibile attraverso un camminamento anulare, ricavato tra i muri concentrici, come un percorso obbligato con valenze rituali. I materiali recuperati dagli archeologi comprendono: parte di una base votiva in granito (l'elemento in cui venivano inserite le offerte in bronzo), pugnaletti, bracciali, spilloni, frammenti di spade votive, parte di una fiasca del pellegrino, porzioni di altri recipienti in ceramica d'impasto. I reperti di scavo oltre a confermare il carattere rituale-cerimoniale di questo straordinario monumento, ne collocano il momento della costruzione ed il periodo di utilizzo tra la fine del XIII ed il I secolo a.C.

La fiasca del pellegrino
 Tra i materiali ceramici recuperati nello scavo dl grande recinto cultuale il collo di una fiasca del pellegrino, recipiente documentato nell'isola da pochi esemplari, imitazione locale di una forma ceramica prodotta nel Mediterraneo orientale (Cipro e costa siro-palestinese) ed introdotta nella Sardegna di epoca nuragica tra Xii e IX sec. a.C.  Il vaso dal corpo tondeggiante e schiacciato, dotato di prese forate per l'inserimento di un cordino di sospensione, richiama vagamente le forme di una moderna borraccia. La fiasca di Romanzesu, a differenza degli altri esemplari, presenta eccezionalmente il lungo collo modellato a forma di torre di nuraghe con, in evidenza, il dettaglio di mensoloni che sostenevano la terrazza sommitale nell'edificio a dimensioni reali. Proprio tale caratteristica sottolinea la valenza “simbolica”, confermata dal luogo di rinvenimento (una struttura sacra), di una forma ceramica riproposta non casualmente in forme miniaturistiche, sotto forma di pendaglio in bronzo. Valenza “simbolica” del contenitore ceramico legata probabilmente alla sacralità dell'acqua.



Costruzione circolare definita Labirinto

Vasta costruzione circolare con corridoi interni e capanna centrale. Ha un diametro di 18 metri e l'altezza delle mura perimetrali doveva raggiungere 1,80-2 metri. 
Gli scavi hanno restituito circa due mila ciottoli di quarzo. Si ipotizza che lo spazio fosse ricoperto col sistema dei pali ricoperti di frasche e anche la capanna aveva una sua copertura. Forse il luogo era utilizzato per l'iniziazione dei giovani che dovevano compiere un percorso al buio e alla fine potevano lasciare il ciottolo tenuto in mano. La particolare struttura suggerisce un movimento di espiazione circolare.


Ingresso del "Labirinto"



NURAGHE LOELLE


Dopo la sosta per il pranzo ci rechiamo a visitare il nuraghe Loelle in territorio di Buddusò.


Nuraghe Loelle


Nicchia all'interno del nuraghe


Nicchia di una stanza al piano superiore del nuraghe Loelle.



Nei pressi del nuraghe si trovano due tombe di giganti delle quali rimane il vano di sepoltura e l'esedra esterna. Il vano è delimitato sul fondo da una lastra di pietra.


Nei pressi del nuraghe si trovano due tombe di giganti delle quali rimane il vano di sepoltura e l'esedra esterna.





























Nei pressi del nuraghe si trova un imponente masso.


Accanto al masso si può sostare per un pic-nic.



Relazione di una precedente visita al sito del 1998
  1. Bitti. Su Romanzesu.

(domenica 31 maggio 1998 - h 9)

La scoperta della fonte sacra di Romanzesu o Poddi Arvu risale al 1919 ed è stata del tutto casuale. I proprietari del terreno, dislocato su un altopiano in gran parte granitico, avevano intrapreso uno scavo per la ricerca di acqua. Ben presto venne alla luce una costruzione ma i lavori proseguirono fino a distruggere la parte dell’accesso, costituita da una gradinata che conduceva alle acque. Si sospese la demolizione solo quando ci si rese conto di trovarsi di fronte ad un manufatto antico. A quel punto intervenne Taramelli il quale si limitò a descrivere ciò che emergeva dalle macerie e dai rovi. Egli precisa: “... non potei desumere né fotografie significative, né rilievo attendibile, ma solo un cenno descrittivo che mi permette di classificare la fonte tra quelle nuragiche ...Resta in piedi la cupola, priva della parte superiore di chiusura ma conservata per l’altezza di m. 2.70, formata da 15 corsi di blocchi granitici ben connessi ed a graduale aggetto verso l’alto. Il diametro della cella, a livello di soglia, è di m. 3.05. Una fasciatura di muro, in blocchi più piccoli, disposta tutto all’ingiro della parete, per l’ampiezza di m. 0.70, riduce a 1.70 il diametro del pozzetto che sta al centro della camera e che serve a raccogliere l’acqua della fonte in più ristretto spazio. La profondità del pozzetto è di m. 1...”. I proprietari trovarono anche frammenti di stoviglie ma “...nella loro ignoranza non ne avevano tenuto conto”.
A poca distanza da questa località di Poddi Arvu, sull’alto del colle, Taramelli segnalò i resti di una tomba di giganti.
Dal medesimo territorio proviene un’iscrizione romana.
Di recente, si sono intrapresi gli scavi della fonte, e ci si è trovati di fronte a numerose costruzioni che presentano varie tipologie.
  • A partire dal vano scala del pozzo c’è un canalone-corridoio gradonato, lungo 42 m., che porta ad una grande vasca circondata da una serie di sei gradoni. Pare che tale bacino, in origine, fosse lastricato e fosse utilizzato per raccogliere l’acqua del pozzo quando essa superava il livello della scala. Con un po’ d’immaginazione possiamo dunque pensare che in tale vasca si celebrassero delle cerimonie rituali. Forse vi si praticavano riti ordalici, come quelli di cui parlava Solino (IIIsec.d.C.), al fine di giudicare e punire i delitti contro la proprietà.
  • A monte dell’area del pozzo sono stati individuati i resti di grandi capanne circolari con pavimentazione lastricata, sedili lungo la circonferenza e grandi focolari centrali. Pare che tali capanne siano databili al XVI sec. a.C. e siano dunque più antiche del pozzo sacro (fine XIII-IX sec a.C.).
  • A circa 100 m. dal pozzo si è ritrovata un’altra struttura a carattere sacro, un tempio a megaron*, ed è in corso lo scavo di un secondo tempietto, distante 80 m. dal primo. Il tempio evidenzia almeno tre fasi costruttive che vanno dal XIV al IX sec. a. C.
In un primo tempo era doppiamente in antis**. Nel lato più breve del tempio vi era l’ingresso (vestibolo) che dava l’accesso al sacello che, a sua volta, era in comunicazione con una zona più interna, riservata esclusivamente ai sacerdoti (I fase - XIV sec.a.C.).
In seguito il vestibolo fu parzialmente chiuso con un muro rettilineo e vi furono realizzati, con piccoli blocchi granitici, due allestimenti a sezione di cerchio, utilizzati probabilmente per sorreggere due contenitori che raccoglievano una riserva di acqua per le abluzioni rituali.(II fase - XIII-XI sec.a.C.)
Fu quindi abbattuto il muro rettilineo, precedentemente realizzato, ed al suo posto fu eretto un muro curvilineo che ampliò lo spazio del vestibolo. I due allestimenti furono eliminati. ( III fase - X-IX sec.a.C.)
  • A 17 m. dal tempio a megaron è stata individuato un grande recinto a pianta subellittica con l’ingresso rivolto ad est. La struttura si compone di un muro perimetrale e di altri muri interni, perfettamente concentrici, che formano un corridoio labirintico che conduce ad una piccola capanna centrale, forse il luogo dove il sacerdote celebrava i suoi riti. Pare che la struttura sia riferibile al Bronzo recente e finale ( fine XIII-IX sec. a. C.).
Gli scavi hanno riportato alla luce numerosi frammenti di ceramica riferibili a tazze, ciotole carenate, olle, tegami, etc. Inoltre nel megaron si sono ritrovati un pugnaletto ed uno spillone di bronzo, oltre a due colate di piombo che erano usate per fissare i bronzetti votivi sulla base di pietra.
Si può dunque affermare che il sito sia ricco di spunti per chi voglia immaginare la vita dell’antico villaggio. L’insediamento, composto da un centinaio di capanne, impegna un’area di 7 ettari; la presenza di varie strutture a carattere sacro può indurre a pensare che fosse un vero e proprio santuario frequentato da pellegrini che giungevano anche da lontano.
I Romani occuparono l’altopiano con insediamenti produttivi e vi lasciarono numerose testimonianze soprattutto in epoca imperiale (II - III sec. d. C.). A loro si deve il toponimo Su Romanzesu. La zona del pozzo sacro è conosciuta anche con il nome di Poddi Arvu, cioè Pioppo Bianco.
Secondo altre fonti il toponimo si riferisce alla pratica di trebbiare il grano, sollevando così la pula, detta poddi in sardo. Il pioppo ha il nome di fustialvu, ed oltre a ciò, nella zona non ci sono, nè vi erano pioppi.

Riferimenti cronologici:
Bronzo antico - 1800-1600 a.C Cultura di Bonnannaro.
Bronzo medio - 1600-1300 a.C. Prende l’avvio la Civiltà Nuragica.
Bronzo recente- 1300-1150 a.C. Si sviluppa il culto delle acque nei templi a pozzo.
Bronzo finale - 1150-900 a.C. Si registra un sensibile sviluppo di tutto il contesto culturale.

  • Templi a megaron - Costruzioni così chiamate per le affinità planimetriche con edifici rettangolari presenti nelle rocche di Micene, Troia, Tirinto. Erano grandi sale con pareti laterali che si prolungavano posteriormente per formare un portico, che poteva essere munito di pilastri. Costituivano il nucleo dei palazzi micenei.
** In antis, o doppiamente in antis - Costruzioni con i due muri laterali che si prolungano sul fronte, o sul fronte e sul retro.
Scheda tratta da: A. Taramelli “Scavi e scoperte” Vol. III pag. 252-253 Roma -1984
M. Ausilia Fadda,  “Su Romanzesu: il villaggio e lo stregone” articolo pubblicato su Archeologia Viva N. 69 pag. 62-67




2. Nuraghe Loelle presso Buddusò.
Nuraghe con pianta complessa. Il rifasciamento gli dà l’aspetto di una costruzione poligonale. Al piano terra non abbiamo notato camere, ma solo una scala che porta ai piani superiori dove si possono visitare alcune camere circolari. Da un accesso laterale si giunge in un corridoio delimitato da monoliti granitici, in parte scavati e levigati, che costituiscono un vano ampio che si restringe nelle estremità appiattendosi sulle mura della costruzione principale. In alto, su una parete, era appeso un pipistrello di color marroncino, addormentato. Non lontane dal nuraghe sono segnalate tombe di giganti ma il gruppo non le ha trovate. In seguito abbiamo saputo che sono scarsamente visibili in quanto semidistrutte.


lunedì 21 maggio 2018

Padria - Mara - Monteleone Roccadoria

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Un gruppo di soci Tholos si è recato in visita a Padria (740 abitanti) e a Mara sabato 19 maggio 2018


Arrivati a Padria visitiamo il museo dove si possono vedere le testimonianze del passato del territorio a partire dal neolitico.
Questa vetrina mostra piedi di terracotta che venivano donati alle divinità per ottenere la guarigione di malattie che avevano colpito la parte anatomica raffigurata. In altre vetrine si notano alcuni occhi in quanto in Sardegna erano frequenti infezioni come il tracoma.


Particolare della facciata della chiesa di Santa Giulia dove entriamo per ammirare sotto il vetro protettivo la sequenza che ha preceduto la chiesa: la tomba venerata, la piccola chiesa paleocristiana del 338 (ricordiamo che l'editto di Costantino è del 313) con facciata ad est devastata durante le invasioni vandaliche, poi ingrandita e divenuta chiesa bizantina per essere ancora ripresa nel medioevo quando diventa una basilica a tre navate (vi si leggeva la data del 1170). Nel 1520 sorgerà la chiesa attuale costruita sulle precedenti dai baroni di Bonvehì De Ferrera che ad Alghero avevano il palazzo in Albis situato in Piazza Civica.
I due scudi scolpiti sopra l'ingresso sono le insegne dei De Ferrera (a destra) e del vescovo di Bosa Pietro de Sena.


Alla sinistra entrando si nota il fonte battesimale di marmo con sovrastante chiusura lignea.


Ex Convento
Giogo per buoi. Sul davanzale sono esposti piccoli gioghi rituali


Nel pomeriggio andiamo a Mara per visitare la chiesa di Nostra Signora di Bonuighinu.
Domani ci sarà la festa e già il luogo è frequentato da venditori e fedeli.


Antiche cumbessias della chiesa di Nostra Signora di Bonuighinu


Altare con la statua della Madonna



Arrivati a Monteleone Roccadoria ha iniziato a piovere. Entriamo nella chiesa di Santo Stefano.


Altari abbinati della chiesa di Santo Stefano


                                        Altari abbinati della chiesa di Santo Stefano



Chiesa di Sant'Antonio



All'interno troviamo la statua di Sant'Antonio Abate accompagnato dal'inseparabile maialino.
Il santo è molto venerato in Sardegna.

In seguito ci siamo recati a Monte Minerva ma la pioggia ha disturbato la visita al roseto. Alcuni hanno visitato una sala con animali impagliati.



MARA

La cultura prenuragica di Bonuighinu è stata individuata per la prima volta nella Grotta de su Tintirriolu di Mara. Nella sequenza cronologica è collocata nel neolitico medio dopo la Grotta Verde e la Grotta di Filiestru e prima della cultura di Ozieri. Sembra che sia la prima cultura ad aver utilizzato cavità artificiali per seppellire i morti.
Gli strati più antichi della Grotta de su Tintirriolu risalgono al 4900-4000 a.C.
Tra i reperti ceramici si notano alcuni idoletti, figure danzanti incise su vasellame di ceramica, ciotole carenate e vasi a bocca larga. Inoltre si sono rinvenuti schegge di selce e di ossidiana, accette di pietra levigata e una spatola di osso. Vi sono anche conchiglie di origina marina e resti di pasto (lumache).

http://www.visitviva.com/it/scopri-villanova/davedere/a-mara/grotta-sa-ucca-de-su-tintirriolu/


 Oltre alla ceramica furono ritrovati anche reperti litici (schegge in selce e ossidiana, accette in pietra levigata, una spatola d'osso con la raffigurazione di un viso umano) e resti ossei animali.
Sulla base dei microresti inoltre si ipotizza che fosse già praticata la coltivazione del grano, almeno di Triticum dicoccum, orzo (Hordeum exsasticum) e leguminose quali lenticchie (Lens esculenta) e la veccia. Si ebbero anche conchiglie di Venus, Cardium eMytilus nonché molte lumache usate come pasto e provviste di fori nell'apice, prodotti con i denti.


L'associazione aveva già visitato Padria domenica 8 aprile 2000 e Mara lunedì 24 aprile 2000. Riporto le relazioni.

Padria - Chiesa di Santa Giulia - Nuraghe Longu
( domenica 08/04/2001 - h 15,30 )

Passiamo per Villanova e proseguiamo per Padria. Il bacino ai piedi di Monteleone Roccadoria è colmo d’acqua ed è molto vasto, con piccole isole e penisole.

La giornata è fredda, ventosa e a tratti piovosa.
A Padria troviamo la chiesa di Santa Giulia aperta. Accendiamo le luci per poter vedere la zona sottostante il pavimento protetta da una grata. Due pannelli illustrano gli scavi: uno riporta la pianta, un altro descrive i resti.
Partendo dalla situazione attuale le costruzioni sono le seguenti:

Chiesa gotico-aragonese -
Fine XV secolo - chiesa gotico aragonese (risale al 1520)
Fine XVI secolo - primi XVIII il pavimento di cocciopesto viene distrutto per effettuare tre sepolture ad ipogeo. La chiesa è mononavata e ha l’abside ad ovest.

Secoli XII - XIV - Chiesa medievale romanica - risale al 1170 e ha l’abside ad est. Ha tre navate.

Chiesa alto medievale
Post VII secolo. E’ una chiesa bizantina paleocristiana con impianto mononavato ed abside ad est.

Anteriore è la tomba venerata. Nella cappella a destra dell’altare si trova un pozzo che ha una risega e poi si restringe fino ad arrivare al fondo. Non contiene acqua.

Dopo il restauro la chiesa è stata riaperta domenica 17/09/2000.
Internamente è molto decorata con piccole sculture che si trovano alla base degli archi che sostengono il soffitto. Iniziando dall’ingresso si notano i simboli dei quattro evangelisti; il leone alato, il toro, l’angelo e al'aquila
Nelle altre basi si distinguono animali e figure umane. Alcune suonano strumenti a fiato, a percussione e a corda. Si vede anche una coppia che pare raffigurare Adamo ed Eva, angeli con le ali spiegate, ed altri motivi.
Nella zona dell’altare si notano due stemmi. Uno è della famiglia De Ferrera, che viveva ad Alghero nel palazzo di piazza Civica chiamato anche In Albis, o De Arcayne.
Lateralmente si aprono otto cappelle, quattro per lato.
La facciata è concava in quanto le parti laterali formano un angolo con la parte centrale. Sul portale c’è lo stemma della famiglia de Ferrera che possedeva anche i territori di Padria.
Anche la facciata presenta numerose sculture: Ai lati, staccati dal muro nella parte superiore, ci sono San Pietro e San Paolo. Un rosone sul portale racchiude una stella a sei punte, che si ripete anche dietro l’altare. I muri laterali presentano dei contrafforti. Il campanile non molto alto, ha una campana.

Nella piazza, sopra la finestra di una costruzione antistante la chiesa, si nota un'architrave scolpita con motivi che ricordano le palme, ed alcune lettere.
Durante una passeggiata nel paese vediamo la chiesa di Santa Croce, minuta, con un rosone che racchiude una stella a cinque punte ed un campanilino che presenta delle aperture ad arco su tre livelli.

Più avanti notiamo, al di là di un cancello chiuso, le murature residue di un “palattu”, la residenza in paese della famiglia De Ferrera.


Nostra Signora di Bunuighinu (Mara)
(Pasquetta 24-04-2000 h 13,50) 

Arriviamo dopo un tragitto di circa un’ora. La giornata è soleggiata ed un po’ ventosa.
Il luogo è affollato da gitanti. La chiesa si presenta maestosa e molto ben tenuta. Una delle casette che si trovano sulla destra è aperta. Anche la chiesa è aperta. Ha una navata molto spaziosa ed un transetto con due altari lignei restaurati con una statua ciascuno. L’altare centrale è fatto di legno, simile ai due laterali, ma con due colonne per parte anzichè una. Al centro si vede una statua della Madonna fatta con materiali poveri, ma rivestita con abiti nuovi. Ai lati sono collocati due angeli di media grandezza.
La volta è a botte e ha delle lunette. Sopra il portone si trova un finestrone quadrato dal quale entra la luce. Il pavimento è di marmo chiaro lucidato.
La facciata è variamente decorata: modanature, colonnine, motivi di foglie, motivi geometrici, piccole croci. Sopra il portale, fatto di legno marrone scolpito, si legge un’iscrizione in latino.
L’ampio spazio antistante è chiuso e completato con panche di pietra addossate al muro di recinzione. Alla destra e davanti al portale c’è una gradinata che porta al prato sottostante. Si vedono antiche costruzioni. Una ha tre porte ad arco, ma è diroccata. Le altre sono tutte restaurate.
Incorporate ai lati della chiesa si trovano ambienti di abitazione con tre porte in basso e finestre nel piano superiore. Dietro la parte absidale si trova ugualmente una casa con profonde finestre strombate verso l’esterno.

Prendiamo la strada indicata dal cartello “Grotta de su tintirriolu” (grotta del pipistrello). Saliamo per almeno mezz’ora e forse siamo in vista della grotta che si trova più in basso, ma non proseguiamo. Alcune donne ci dicono che occorre strisciare per accedervi e che poi bisogna illuminare l’ambiente con una torcia. Ci ripromettiamo di tornare un’altra volta.
La campagna si presenta rigogliosa di erbe e di fiori. Si può notare una grande varietà di piante. Tra i fiori si vedono numerosi asfodeli in fiore, piselli selvatici, allium, ravanello selvatico, moc-moc, cardi, pto-pto, qualche orchidea, pratoline, ombelico di Venere, orzo selvatico, avena, ranuncoli gialli, e un’altra infinità di essenze.


Mara - Chiesa di Bunuighinu - Grotta di Tintia
(Lunedì di Pasquetta - 21 aprile 2003 - h 15)

Al santuario ci sono numerosi gruppi di gitanti. Le casette attorno sono tutte aperte e frequentate. Alcuni uomini giocano a morra. La chiesa è aperta e la visitiamo. Alla descrizione già fatta nella visita precedente del 24.04.2000 aggiungo dei particolari.

L’altare destro, così come gli altri, appare originale e restaurato. Solo il ripiano sul quale poggia il tabernacolo è stato sostituito da un piano di legno nuovo.
Abbiamo notato che le costruzioni diroccate che si trovano nel prato antistante la scalinata e il portale della chiesa hanno diversi anelli fatti di pietra, che venivano utilizzati per legare gli animali domestici: cavalli, asini.
Tra le pietre crollate crescono dei fiori simili a calle nella forma, nel colore e nella dimensione, che spuntano dal suolo ed hanno un corto gambo. Alcuni hanno qualche foglia, anche questa simile alle foglie delle calle, ma più piccola.

Terminata la visita alla zona della chiesa prendiamo la strada che indica “Grotta di Tintia”. La giornata è variabile, un po’ splende il sole, un po’ è nuvoloso, a tratti cade qualche goccia di pioggia. La strada è agevole e presenta tratti di discesa e altri di salita. Ai lati della strada vediamo asparagi, robuste piante di cardo, piselli selvatici, pto-pto, finocchi selvatici, alloro, grandi campanule gialle che crescono a spiga, e tanti altri vegetali. Sulla destra, quasi all’inizio, sorge la costruzione di una colonia.
Lasciamo le deviazioni e continuiamo sempre sulla strada asfaltata per più di mezz’ora.
Ad un tratto l’asfalto finisce e noi proseguiamo. Infine ci troviamo davanti ad alcuni cancelli. Sulla destra scorgiamo delle rocce che formano un grande riparo. Appena più avanti c’è la grotta, segnalata da una scritta: Grotta di Tintia. Entriamo nella bassa apertura ma per proseguire è indispensabile la torcia. Usciamo e torniamo indietro. Ci ferma una coppia che cerca il castello di Bunuighinu, ma crediamo che dell’antica costruzione siano rimaste ben poche tracce, e non ne conosciamo l’ubicazione. Ci danno notizia di due tombe di giganti che si trovano ad Urzulei, e ci consigliano di andare a vederle. Impieghiamo circa tre quarti d’ora per la discesa.
Andiamo dunque a Semestene per visitare San Nicola Di Trullas ma la chiesa è chiusa e recintata. Un cartello dice che stanno facendo lavori.
Decidiamo dunque di tornare ad Alghero.